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Emergenze e realismo di Cesare Chiericati

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“Annuncite e inaugurite” sono due patologie endemiche che affliggono la politica italiana a tutti i livelli: nazionale, regionale, locale. Trascuriamo in questa circostanza i primi due ambiti e soffermiamoci brevemente sul terzo limitandoci, per ora, alla prima delle due patologie che, dobbiamo prenderne atto, sembra avere dei focolai ben annidati a Palazzo Estense e resistenti, per ora, anche al vento purificatore che dovrebbe soffiare in uffici e corridoi dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni del 19 giugno scorso.

Ancora una volta, anche per i nuovi amministratori, la fretta si è dimostrata cattiva consigliera. Ci riferiamo ovviamente al pasticcio dell’eliminazione del costo dei parcheggi nelle vie del centro durante la pausa pranzo (12 – 14) e nelle ore serali, cioè dopo le 20. Nel giro di poche ore si è passati dal consolatorio “liberi tutti” al competitivo “chi primo arriva meglio alloggia” nel senso che chi non riuscirà a piazzare l’auto nella zona “liberalizzata” finirà per sentirsi, come dicono a Napoli, “cornuto e mazziato”. Ovviamente il pasticcio del mezzogiorno ha messo di buon umore le opposizioni che hanno cominciato a tirare, legittimamente, qualche sasso in piccionaia. Un po’ più di cautela avrebbe evitato inutili siparietti e il disappunto di molti esercenti, soprattutto se si fosse precisato con la dovuta energia che l’intera questione della sosta nell’ora di pranzo sarà puntualmente riconsiderata all’interno di un piano della mobilità cittadina che sta scritto a chiare lettere nelle tavole del programma galimbertiano.

Senza contraccolpi immediati ma con un filo di enfasi di troppo anche l’annuncio dell’imminente installazione di cinque postazioni di telecamere intelligenti ( due per sito) che controlleranno il traffico in entrata e in uscita dalla città giardino: in viale Belforte, a Largo Flaiano, in viale Borri, a Masnago e a Casbeno. Secondo gli esperti saranno in grado di individuare le auto rubate, di smascherare quelle prive di assicurazione, rilevare l’ora esatta del transito, il tipo di veicolo, la dimensione  e quant’altro. Insomma un dispositivo di tipo orwelliano che, come da copione, aumenterà la sicurezza a scapito della privacy  in nome della quale continuiamo a firmare liberatorie fasulle. Comunque sia, se funzionanti, saranno di non poca utilità, un progetto varato dalla giunta Fontana che dovrebbe concretizzarsi  entro l’estate. Ma attenzione si cerchi di non vendere anzitempo la classica pelle dell’orso. La storia recente di Varese è ricca di roboanti annunci e di altrettanto roboanti flop, guarda caso proprio in tema di telecamere come quelle di vicolo Canonichetta( quattro anni di attesa per piazzarne una tra l’altro non risolutiva) e  il cervellotico sistema di controllo  via telefono cellulare, di piazza Repubblica, un fiasco da 10 mila euro. Per restare in Piazza Repubblica e ai costosi progetti di sistemazione forse sarebbe il caso di tornare a discuterne seriamente, cifre alla mano, senza dare per scontate soluzioni ( Biblioteca civica nell’ex caserma) che scontate invece non sono. Di emergenze grandi e piccole la città del resto è ricca: dal ricorrente endemico degrado di alcune zone centrali e periferiche ai più complessi problemi del traffico veicolare e via elencando. E nessuno possiede la classica bacchetta magica. A furia di annunci disattesi le giunte precedenti hanno fiaccato la resistenza e la pazienza dei varesini elettori che hanno scelto nuovi amministratori. Da quest’ultimi è lecito attendere un rapido passaggio dai gioiosi bilanci preventivi cari ai predecessori ai bilanci consuntivi, con il fatto e il non fatto in bella evidenza e le relative motivazioni. Come dire che dal “faremo, realizzeremo, interverremo” è assai più convincente e costruttivo approdare al più sobrio  “abbiamo fatto”. Portando risultati concreti e dando prova di sapere, almeno qualche volta,  resistere alle quotidiane sirene mediatiche.

I Cento Giorni: di Maniglio Botti

Il più gravoso impegno dopo la vittoria

 

Nella storia il periodo dei “cento giorni” intercorre tra l’uscita di Napoleone dall’Elba, il ritorno a Parigi e la battaglia di Waterloo. Di converso ci si può riferire all’abbandono della capitale di Luigi XVIII di Borbone, all’arrivo di Napoleone, e infine alla restaurazione della dinastia. Più o meno si va dal 20 marzo all’8 luglio del 1815.

In politica i cento giorni rappresentano, invece, i primi passi di un governo e di un’amministrazione. Sono gli atti più importanti, sotto il profilo dell’interpretazione delle cose fatte e da fare, che danno un’indicazione sulla realizzazione delle promesse annunciate durante la campagna elettorale da parte di un candidato sindaco o di un presidente. È anche e soprattutto in questa durata temporale che si può misurare la futura bontà di un governo.

Per il neo-sindaco della città di Varese, Davide Galimberti, passati i doverosi momenti di esultanza per avere sconfitto in casa la Lega, dopo ventitré anni di assoluto dominio, i cento giorni scadranno alla fine del prossimo mese di settembre. Gli si concedano pure due o tre settimane di abbuono – perché in Italia le vacanze di agosto sono sacre per tutti – ma è chiaro che nell’autunno ormai inoltrato, diciamo intorno alla metà o alla fine di ottobre, sarà opportuno cominciare a fare qualche bilancio.

L’appuntamento più importante ora, che comporterà valutazioni dalle quali in ogni caso non ci si può sottrarre,  ancora prima dell’autunno, è quello della formazione della giunta. Già da qui, se saranno scelti uomini (e donne) in gamba e potenzialmente capaci a seconda delle loro professionalità, oppure se si realizzerà una distribuzione di incarichi “alla Cencelli”, ci si potrà rendere conto della carica innovativa del prosieguo e dello spirito di cambiamento. Beninteso, si tratta ancora di mosse politiche. Sarà poi più difficile e complicato muoversi all’interno delle aeree tecniche – importantissime – e dei funzionariati, perché vale sempre il detto: i sindaci e gli assessori passano, i funzionari restano.

Da noi, in Italia, non è previsto il sistema dello spoil system,  per cui, per fare in modo che tutto cambi e niente resti come prima, ci si dovrà affidare alle  consulenze e ai consigli di uomini di macchina, che bene conoscono l’amministrazione varesina e che anche fanno parte della nuova compagine di centrosinistra che siederà a Palazzo Estense.

Già la presenza continua di Galimberti nei rioni e nelle castellanze varesine, in queste primissime fasi di partenza, allo scopo di capirne le necessità e di segnalarle sull’agenda, intanto, fa bene sperare. Il neo-sindaco sta dimostrato un’azione da motore diesel. Ma è chiaro che poi alle necessità bisogna rispondere in modo concreto.

Un’altra cosa da fare nell’immediato è prendere in mano i problemi  che, a quanto pare, hanno causato la caduta leghista. In primis la questione del parcheggio-bunker alla Prima  Cappella. Un’analisi approfondita, poi, del recupero di piazza Repubblica si rende necessaria. Sono temi su cui non si possono creare equivoci: massima chiarezza. Comportamenti che vanno bene al di là della promozione e della propaganda politica.

I primi cento giorni, e se vogliamo anche qualcosa di più, non riguardano però soltanto il nuovo sindaco e la nuova giunta, ma anche l’opposizione. Rimarremmo delusi, per esempio, se l’uomo che ha conteso a Galimberti il primo seggio del Palazzo, Paolo Orrigoni, dovesse gettare la spugna. Il suo comportamento lineare durante la campagna elettorale, le sue capacità di giovane imprenditore di successo potrebbero essere messe al servizio della città. Anche in quell’ambito di opposizione “seria, critica e costruttiva” che è  giusto e normale aspettarsi.

E rimarremmo ancora più delusi se si debba fare presto a meno di quella presenza in aula – utile e per nulla ingombrante – del capolista della Lega, nientemeno che Bobo Maroni, presidente della Regione Lombardia. Quello stesso Maroni che proprio da Palazzo Estense prese le mosse per una carriera politica d’eccellenza. Ci rendiamo conto che contemperare gli impegni del Pirellone e quelli varesini non sarà facile. Ma è stata questa una decisione che si sarebbe dovuto prendere in precedenza. Una sua eventuale defezione, a questo punto non bene motivata, spiegherebbe ancora di più un clima di sfiducia e di poca credibilità  che la Lega in parte ha pagato, ma che potrebbe pagare ancora di più.

Un’agenda urbana per la Città Giardino

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Michela Barzi

Il nuovo corso politico iniziato una settima fa impone una riflessione su come Varese possa affrontare questo cambiamento anche per quanto riguarda alcune questioni decisive che possono definire gli scenari urbani in un modo o in un altro.

In alcuni contributo pubblicati nei mesi scorsi ho evidenziato i limiti del modello disperso che ha finora caratterizzato la cosiddetta Città Giardino. Lo sviluppo a bassa densità edilizia e demografica ha provocato la fuoriuscita della città reale dai suoi confini amministrativi: oggi il comune di Varese contiene solo il 40% circa degli abitanti di quell’agglomerato urbano che si estende per 10-15 chilometri  oltre i confini amministrativi del capoluogo, dove vivono più di 200.000 persone. Come identificare dunque  la città reale e conseguentemente governarla,  tenendo conto che la vecchia dimensione municipale è scarsamente efficace quando si tratta di affrontare i complessi problemi dell’ambiente urbano? Come è possibile integrare all’interno dell’area varesina i cittadini che abitano dentro e fuori i limiti amministrativi  del capoluogo? In che modo pensare al governo di un territorio i cui confini sono ancora tutti da definire? Quale interlocuzione avviare con gli altri enti territoriali avendo ben presente l’ articolazione di questi confini? Come, in sintesi, si governa la trasformazione della città nella dimensione dell’area vasta , la quale può  ormai dirsi un fatto compiuto più che un concetto della pianificazione territoriale?

Ancor prima di rispondere alle domande qui poste è bene che Varese si chieda però se quel modello di sviluppo urbano a bassa densità edilizia e demografica  e alta pervasività  territoriale possa ancora funzionare quando si tratta di affrontare alcune sfide decisive che la complessità dell’ambiente urbano ci pone.  Una di queste è rappresentata dal  traffico veicolare che soffoca l’area varesina e che impone una riflessione sulla mobilità dei suoi abitanti a partire da una visione meno auto-centrica. D’altra parte, se la principale connotazione di Varese  è una densità di popolazione che si attesta appena sotto i 1500 abitanti per chilometro quadrato – mentre un capoluogo lombardo assai simile per caratteristiche insediative come Como supera i 2200 – non c’è da meravigliarsi che Varese sia il capoluogo lombardo con il più alto tasso di motorizzazione, dato che disperdere gli abitanti sul territorio significa generare un maggior bisogno di mobilità.

Il primo punto di un’agenda urbana per Varese è quindi quello della densità: come si definisce il rapporto ottimale tra aree costruite e libere nel tessuto urbano – che a Varese è fortemente connotato dalla presenza del verde privato – in grado di esprimere maggiore efficienza ambientale e qualità della vita per chi lo abita? Come rafforzare il senso di urbanità, fatto di quel mix di funzioni necessarie a supportare la vita dei cittadini, senza stravolgere l’identità di un luogo che, con felice espressione, Daniele Zanzi ha definito la città in un giardino. Come si rende più densa – di persone, di attività economiche, di servizi e anche di parchi e giardini pubblici – una città che si è diluita sul territorio circostante grazie al massiccio uso dell’auto privata?

Va da sé che il secondo punto di un’agenda urbana sia quello della mobilità: se si diminuisce il bisogno di spostamenti in auto, rendendo più denso e ricco di funzioni il tessuto urbano, bisogna mettere in condizione i cittadini di spostarsi agevolmente a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici per andare al lavoro, a scuola, a fare le compere e ad usufruire dei differenti servizi . In una città che ha scelto di mantenere solo il controllo dei parcheggi e ha dismesso quello del trasporto pubblico se si vuole migliorarne la vivibilità diventa urgente ribaltare questa visione della mobilità basata sull’auto privata.

Il terzo punto riguarda, conseguentemente, il modo in cui alcuni nodi pluridecennali verranno sciolti: come verrà affrontata la questione dell’unificazione delle stazioni, cioè del nuovo hub del trasporto pubblico locale e di scambio modale della mobilità degli abitanti dell’area varesina? Una soluzione che sappia tenere nel giusto conto il fatto che l’area varesina è parte della regione metropolitana milanese è senza dubbio auspicata dai tantissimi varesini (in senso lato) che ogni giorno prendono un mezzo pubblico per svolgere la loro attività lavorativa o di studio. Lo stesso dicasi per la sutura di quella ferita al corpo della città rappresentata dal raccordo autostradale: nessuna politica di mobilità urbana può prescindere dall’affrontare il nodo di come si può evitare che il traffico veicolare si riversi direttamente dall’autostrada dei Laghi nel centro cittadino. A questi due punti si collega la questione di un nuovo assetto di piazza della Repubblica, il cui posteggio multipiano interrato è stato concepito come il contenitore dei flussi di traffico in arrivo dal raccordo autostradale e dal sistema viario dell’area urbana. Ancor prima della questione della ex caserma Garibaldi e del teatro – e degli scenari volumetrici che si produrranno sul sedime del progetto di riqualificazione della piazza – sarebbe bene capire come ribaltare l’identità di quel luogo che più che una piazza è la copertura di un posteggio con annesso centro commerciale.

L’energia che ha permesso il cambiamento politico del governo della città, fatta di idee, riflessioni, proposte e  soprattutto opposizione ad alcune scelte della precedente amministrazione, deve essere usata per definire una visione di Varese nei prossimi 5-10 anni. Sembra paradossale, ma rispetto la piatta gestione dell’esistente alla quale la città è stata sottoposta nei decenni passati si tratta di una rivoluzione.

Infopoint ovvero infofregatura.

Immagine infopoint

 

di Alessandro Ceccoli *

Orrigoni, Malerba, ecc.: non credete alla diversità, presentano facce diverse, ma dietro di loro ci sono sempre i soliti noti, quelli che per vent’anni hanno occupato posti senza averne le competenze avendo sperperato risorse e sprecato opportunità.
Non vogliamo raccontarvi dei milioni presi dalle tasche dei contribuenti per un’inutile funicolare, neanche del megaprogetto del doppio ospedale, oppure dell’acquisto improvvido della Caserma Garibaldi e neanche della vicenda del latte Varese, o della svendita per coprire spese correnti delle azioni della A2a. Potremmo continuare all’infinito ricordando anche la triste vicenda della spartizione dei posti nella fondazione Molina o di come Varese2.0 ha fermato lo spreco del parcheggio tra le rocce del Sacro Monte, ma preferiamo solo soffermarci su un’ultima foto di famiglia di questi giorni. L’inaugurazione in grande pompa a Varese dell’infopoint. Una storia che se non ci fossero di mezzo i nostri soldi si potrebbe definire estremamente divertente. Parliamo di un infopoint che non trova pace. Partito, crediamo di ricordare, dalla Camera di Commercio, approda dopo varie vicissitudini e soldi investiti in via Romagnosi, in concomitanza dell’istallazione dei quasi inutili totem digitali posizionati nel centro cittadino. Poi arriva la genialata.  Con expo, c’erano altri soldi da spendere, e si dà il via all’inaugurazione in Piazza Montegrappa di un nuovo manufatto. Ma ai nostri eroi non bastava: quale migliore occasione delle prossime elezioni per rispostarlo nella Camera di Commercio in via Bernasconi, con grande inaugurazione e taglio di nastro per mano dell’immancabile Maroni prossimo consigliere fantasma a Varese.  Certo dobbiamo ammettere che questi signori, privi di progettualità e nella piena indifferenza dello spreco dei soldi altrui, ne hanno di fantasia!  Anche perché per accedervi, se non si vuole fare un tiro di dadi nel gioco dell’oca, bisogna fare una rampa di scale e passare davanti a un’elegante isola ecologica che, aggiungiamo per correttezza, dovrebbe essere spostata con buona pace dei contribuenti che vedranno altre risorse svanire nel nome dell’inadeguatezza di una classe dirigente.

 

* Movimento civico Varese 2.0

Insubria: sfatare il mito del “campus”

di Cesare Chiericati candidato Varese2.0

Cesare 004E’ di qualche giorno fa la notizia che l’Università Cattolica di Milano ha acquisito, dopo anni  di trattative con la Stato, la caserma Garibaldi adiacente l’ateneo e sede da tempo immemorabile della Polizia e di un reparto dell’ Esercito che troveranno nuova casa rispettivamente in piazzale Firenze e in altra caserma cittadina. “ E noi – ha detto il rettore Franco Anelli – potremo così concentrare le nostre attività distribuite in più sedi”. Costo dell’operazione 88 milioni di euro, molto ben spesi perché la Cattolica, fondata nel 1921 da Padre Agostino Gemelli, diventerà il più grande polo universitario urbano della città. Quella maturata tra i chiostri di piazza Sant’Ambrogio è si una scelta razionale sul piano economico e organizzativo ma è anche un contributo molto importante alla rigenerazione urbana di una zona nevralgica e prestigiosa della capitale lombarda. Da un lato torneranno a nuova vita edifici monumentali oggi in via di lenta decomposizione, dall’altro l’accresciuta presenza studentesca darà nuova linfa umana, culturale, economica a tutta l’area circostante. Esattamente il contrario di quanto si è fatto a Varese dove si è invece deciso di concentrare tutto nel “campus” cresciuto a Bizzozero mandando in soffitta la vecchia sede presso l’ex Collegio Sant’Ambrogio. Scelta in parte imposta dalla crescita degli iscritti ma che tuttavia non giustifica la fuga da via Ravasi. Lì avrebbero potuto tranquillamente rimanere le due facoltà tradizionali (economia e giurisprudenza), che non necessitano di grandi spazi per laboratori attrezzati, più il rettorato, le relative biblioteche, gli uffici dei docenti e la grande aula magna.

Su questa tema cruciale la città e la politica sono apparse distratte, assenti, quasi la questione non fosse di vitale importanza per il futuro di Varese. Solo uno studio accurato condotto per il Movimento civico Varese 2.0 dall’architetto Angelo Del Corso e dal professore Valerio Crugnola, raccolto nel volumetto “Semi di città”, ha preso di petto il problema. Scrivono gli autori: “ La scelta di trasferire tutti gli insediamenti universitari e i relativi servizi in una vasta area un tempo agricola tra le Bustecche e Bizzozero, vagheggiando un campus estraneo alla tradizione europea, è stata quanto mai infelice. Crea disagio agli studenti, ghettizza la vita universitaria e la allontana dalla città, facendone un corpo estraneo anziché uno dei suoi nuclei vitali…. Per quale motivo gli studenti fuori sede dovrebbero desiderare soggiornare in un ghetto all’estrema periferia della città, del tutto isolata la sera?….Non solo gli studenti hanno bisogno di stare nel centro storico. Anche il centro storico ha bisogno degli studenti. E’ così da secoli in tutta Europa; e noi, fino a prova contraria, non solo siamo in Europa, ma siamo stati, come italiani, tra i primi a beneficiare del rapporto tra studenti e città: un beneficio culturale e di vitalità ben superiore a quello economico e occupazionale. Ma a questo né gli ermellini dell’Insubria né le autorità politiche hanno evidentemente pensato”. L’esatto contrario di quanto viceversa sta facendo la Cattolica a Milano e di quanto già è stato fatto in altre città come Torino. Non resta che sperare in un soprassalto di ragionevolezza in tutte le parti in causa, magari indotta dalle imminenti elezioni. Chissà mai che il dogma del “ campus” a tutti i costi non si stemperi grazie a pacate e più realistiche valutazioni da farsi all’interno del controverso e contestato Masterplan di Piazza Repubblica. Per il bene dell’Università dell’Insubria e di Varese tutta.

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