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Michela Barzi

Il nuovo corso politico iniziato una settima fa impone una riflessione su come Varese possa affrontare questo cambiamento anche per quanto riguarda alcune questioni decisive che possono definire gli scenari urbani in un modo o in un altro.

In alcuni contributo pubblicati nei mesi scorsi ho evidenziato i limiti del modello disperso che ha finora caratterizzato la cosiddetta Città Giardino. Lo sviluppo a bassa densità edilizia e demografica ha provocato la fuoriuscita della città reale dai suoi confini amministrativi: oggi il comune di Varese contiene solo il 40% circa degli abitanti di quell’agglomerato urbano che si estende per 10-15 chilometri  oltre i confini amministrativi del capoluogo, dove vivono più di 200.000 persone. Come identificare dunque  la città reale e conseguentemente governarla,  tenendo conto che la vecchia dimensione municipale è scarsamente efficace quando si tratta di affrontare i complessi problemi dell’ambiente urbano? Come è possibile integrare all’interno dell’area varesina i cittadini che abitano dentro e fuori i limiti amministrativi  del capoluogo? In che modo pensare al governo di un territorio i cui confini sono ancora tutti da definire? Quale interlocuzione avviare con gli altri enti territoriali avendo ben presente l’ articolazione di questi confini? Come, in sintesi, si governa la trasformazione della città nella dimensione dell’area vasta , la quale può  ormai dirsi un fatto compiuto più che un concetto della pianificazione territoriale?

Ancor prima di rispondere alle domande qui poste è bene che Varese si chieda però se quel modello di sviluppo urbano a bassa densità edilizia e demografica  e alta pervasività  territoriale possa ancora funzionare quando si tratta di affrontare alcune sfide decisive che la complessità dell’ambiente urbano ci pone.  Una di queste è rappresentata dal  traffico veicolare che soffoca l’area varesina e che impone una riflessione sulla mobilità dei suoi abitanti a partire da una visione meno auto-centrica. D’altra parte, se la principale connotazione di Varese  è una densità di popolazione che si attesta appena sotto i 1500 abitanti per chilometro quadrato – mentre un capoluogo lombardo assai simile per caratteristiche insediative come Como supera i 2200 – non c’è da meravigliarsi che Varese sia il capoluogo lombardo con il più alto tasso di motorizzazione, dato che disperdere gli abitanti sul territorio significa generare un maggior bisogno di mobilità.

Il primo punto di un’agenda urbana per Varese è quindi quello della densità: come si definisce il rapporto ottimale tra aree costruite e libere nel tessuto urbano – che a Varese è fortemente connotato dalla presenza del verde privato – in grado di esprimere maggiore efficienza ambientale e qualità della vita per chi lo abita? Come rafforzare il senso di urbanità, fatto di quel mix di funzioni necessarie a supportare la vita dei cittadini, senza stravolgere l’identità di un luogo che, con felice espressione, Daniele Zanzi ha definito la città in un giardino. Come si rende più densa – di persone, di attività economiche, di servizi e anche di parchi e giardini pubblici – una città che si è diluita sul territorio circostante grazie al massiccio uso dell’auto privata?

Va da sé che il secondo punto di un’agenda urbana sia quello della mobilità: se si diminuisce il bisogno di spostamenti in auto, rendendo più denso e ricco di funzioni il tessuto urbano, bisogna mettere in condizione i cittadini di spostarsi agevolmente a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici per andare al lavoro, a scuola, a fare le compere e ad usufruire dei differenti servizi . In una città che ha scelto di mantenere solo il controllo dei parcheggi e ha dismesso quello del trasporto pubblico se si vuole migliorarne la vivibilità diventa urgente ribaltare questa visione della mobilità basata sull’auto privata.

Il terzo punto riguarda, conseguentemente, il modo in cui alcuni nodi pluridecennali verranno sciolti: come verrà affrontata la questione dell’unificazione delle stazioni, cioè del nuovo hub del trasporto pubblico locale e di scambio modale della mobilità degli abitanti dell’area varesina? Una soluzione che sappia tenere nel giusto conto il fatto che l’area varesina è parte della regione metropolitana milanese è senza dubbio auspicata dai tantissimi varesini (in senso lato) che ogni giorno prendono un mezzo pubblico per svolgere la loro attività lavorativa o di studio. Lo stesso dicasi per la sutura di quella ferita al corpo della città rappresentata dal raccordo autostradale: nessuna politica di mobilità urbana può prescindere dall’affrontare il nodo di come si può evitare che il traffico veicolare si riversi direttamente dall’autostrada dei Laghi nel centro cittadino. A questi due punti si collega la questione di un nuovo assetto di piazza della Repubblica, il cui posteggio multipiano interrato è stato concepito come il contenitore dei flussi di traffico in arrivo dal raccordo autostradale e dal sistema viario dell’area urbana. Ancor prima della questione della ex caserma Garibaldi e del teatro – e degli scenari volumetrici che si produrranno sul sedime del progetto di riqualificazione della piazza – sarebbe bene capire come ribaltare l’identità di quel luogo che più che una piazza è la copertura di un posteggio con annesso centro commerciale.

L’energia che ha permesso il cambiamento politico del governo della città, fatta di idee, riflessioni, proposte e  soprattutto opposizione ad alcune scelte della precedente amministrazione, deve essere usata per definire una visione di Varese nei prossimi 5-10 anni. Sembra paradossale, ma rispetto la piatta gestione dell’esistente alla quale la città è stata sottoposta nei decenni passati si tratta di una rivoluzione.