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Insubria: sfatare il mito del “campus”

di Cesare Chiericati candidato Varese2.0

Cesare 004E’ di qualche giorno fa la notizia che l’Università Cattolica di Milano ha acquisito, dopo anni  di trattative con la Stato, la caserma Garibaldi adiacente l’ateneo e sede da tempo immemorabile della Polizia e di un reparto dell’ Esercito che troveranno nuova casa rispettivamente in piazzale Firenze e in altra caserma cittadina. “ E noi – ha detto il rettore Franco Anelli – potremo così concentrare le nostre attività distribuite in più sedi”. Costo dell’operazione 88 milioni di euro, molto ben spesi perché la Cattolica, fondata nel 1921 da Padre Agostino Gemelli, diventerà il più grande polo universitario urbano della città. Quella maturata tra i chiostri di piazza Sant’Ambrogio è si una scelta razionale sul piano economico e organizzativo ma è anche un contributo molto importante alla rigenerazione urbana di una zona nevralgica e prestigiosa della capitale lombarda. Da un lato torneranno a nuova vita edifici monumentali oggi in via di lenta decomposizione, dall’altro l’accresciuta presenza studentesca darà nuova linfa umana, culturale, economica a tutta l’area circostante. Esattamente il contrario di quanto si è fatto a Varese dove si è invece deciso di concentrare tutto nel “campus” cresciuto a Bizzozero mandando in soffitta la vecchia sede presso l’ex Collegio Sant’Ambrogio. Scelta in parte imposta dalla crescita degli iscritti ma che tuttavia non giustifica la fuga da via Ravasi. Lì avrebbero potuto tranquillamente rimanere le due facoltà tradizionali (economia e giurisprudenza), che non necessitano di grandi spazi per laboratori attrezzati, più il rettorato, le relative biblioteche, gli uffici dei docenti e la grande aula magna.

Su questa tema cruciale la città e la politica sono apparse distratte, assenti, quasi la questione non fosse di vitale importanza per il futuro di Varese. Solo uno studio accurato condotto per il Movimento civico Varese 2.0 dall’architetto Angelo Del Corso e dal professore Valerio Crugnola, raccolto nel volumetto “Semi di città”, ha preso di petto il problema. Scrivono gli autori: “ La scelta di trasferire tutti gli insediamenti universitari e i relativi servizi in una vasta area un tempo agricola tra le Bustecche e Bizzozero, vagheggiando un campus estraneo alla tradizione europea, è stata quanto mai infelice. Crea disagio agli studenti, ghettizza la vita universitaria e la allontana dalla città, facendone un corpo estraneo anziché uno dei suoi nuclei vitali…. Per quale motivo gli studenti fuori sede dovrebbero desiderare soggiornare in un ghetto all’estrema periferia della città, del tutto isolata la sera?….Non solo gli studenti hanno bisogno di stare nel centro storico. Anche il centro storico ha bisogno degli studenti. E’ così da secoli in tutta Europa; e noi, fino a prova contraria, non solo siamo in Europa, ma siamo stati, come italiani, tra i primi a beneficiare del rapporto tra studenti e città: un beneficio culturale e di vitalità ben superiore a quello economico e occupazionale. Ma a questo né gli ermellini dell’Insubria né le autorità politiche hanno evidentemente pensato”. L’esatto contrario di quanto viceversa sta facendo la Cattolica a Milano e di quanto già è stato fatto in altre città come Torino. Non resta che sperare in un soprassalto di ragionevolezza in tutte le parti in causa, magari indotta dalle imminenti elezioni. Chissà mai che il dogma del “ campus” a tutti i costi non si stemperi grazie a pacate e più realistiche valutazioni da farsi all’interno del controverso e contestato Masterplan di Piazza Repubblica. Per il bene dell’Università dell’Insubria e di Varese tutta.

LO STRANO CASO DEL PGT Di Angelo Del Corso

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Il povero PGT di Varese è stato dichiarato orfano! Alla scadenza elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale varesina lo strumento principe per il governo dello sviluppo della città è ripudiato da tutti, compresi il padre, la madre e i parenti sino all’ennesimo grado. Figlio di nessuno? Triste destino per un infante concepito dalle manipolazioni alchemiche di un apprendista stregone nell’oscurità di una cantina. Presentato come cigno, il PGT si è rivelato un groviglio di inutili pezzi disorganici incapaci di attivare il sistema città, di favorire iniziative dinamiche, dimostrandosi freno per l’impresa, decretando così l’impoverimento della città. Eppure, poco prima del “parto”(dicembre 2013), le organizzazioni imprenditoriali e gli ordini professionali di settore evidenziarono i vizi contenuti nella proposta: “…Il PGT appare incapace di immaginare una città diversa da quella che c’è. Sembra volere difendere lo status quo. Conservativo, insomma, e senza un disegno di città” , ma la blindatura apposta dall’amministrazione comunale impedì i miglioramenti auspicati dagli specialisti. In tre anni di “s-governo del territorio” e di ricadute rovinose sulla socialità varesina sono state bruciate oltre mille attività produttive e alcune migliaia di lavoratori hanno perso l’occupazione. Diecimila residenti hanno abbandonato Varese.

Alcuni giorni fa si è rinnovata la denuncia dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili di Varese e degli Ordini provinciali degli architetti, degli ingegneri e dei geometri: ”Era un’occasione storica, dopo ventiquattro anni di stabilità politica, e invece è arrivato un Pgt che non condividiamo”…” Nella fase propedeutica alla sua adozione e approvazione siamo stati sentiti, ma non ascoltati”…” Vogliamo conoscere l’idea di città dei candidati sindaci e non sentire slogan”. Asserzioni, queste, che evidenziano il bisogno vitale di discontinuità e di serio rinnovamento.  Queste argomentazioni sono le stesse che VARESE 2.0 raccolse nel volumetto “SEMI DI CITTA’”, prodotto lo scorso anno in occasione di un altro grande pasticcio dell’amministrazione comunale: il Masterplan di Piazza Repubblica e il conseguente inutile concorso. Per VARESE 2.0 fu l’occasione per raccogliere e valutare le voci della città e tracciare percorsi possibili di rinascita. Non abbiamo elaborato solo teorie ma realistiche possibilità d’intervento: la visione per il futuro possibile di Varese, capace di incedere e progredire nel rispetto dell’ambiente e delle istanze dei cittadini, riprendendo il discorso iniziato cento anni fa dai nostri maestri e ignobilmente interrotto negli ultimi decenni.

Ora, alla scadenza elettorale, i responsabili di questo disastro annunciano senza vergogna: il PGT è da rivedere! Ci pensiamo noi. Non c’è limite alla follia e al raggiro. I varesini dovrebbero affidare la cura dei loro mali agli stessi fautori dell’epidemia?

Competenza e buone pratiche sono l’emblema delle donne e degli uomini che animano VARESE 2.0, ed è con questo spirito responsabile che il Movimento intende proseguire il lavoro iniziato dai maestri, collocandosi in quel solco, raccogliendo le loro matite per riprenderne il magistero in altri brani dell’ambiente urbano.

Angelo Del Corso , architetto, candidato del Movimento Civico #Varese 2.0, lista Zanzi

 

L’AMBIENTE SIA IL NOSTRO “MANTRA” Di Daniele Zanzi

Villa Toeplitz, tra i “tesori naturali” di Varese

Villa Toeplitz, tra i “tesori naturali” di Varese

Oggi esiste, per la prima volta in millenni di storia, un problema comune a tutto il mondo; un problema che non conosce barriere, confini nazionali, linguistici, culturali, religiosi o di appartenenza: l’ambiente e la sua salvaguardia sono il reale, concreto ed universale nodo con cui bisogna e bisognerà confrontarsi, pena la sopravvivenza del genere umano nella nostra casa comune, così come la definisce Papa Francesco nella sua enciclica Laudato sì.

Un problema enorme sul quale ho già scritto diverse volte su RMFonline. Vorrei rimarcarlo ancora una volta perché, se è vero che il nostro contributo di piccola comunità non può che essere limitato di fronte alla sua globalizzazione, è anche vero che tante gocce insieme possono fare un oceano e che, se non si inizia dall’orto dietro casa, non si può poi pretendere di arrivare ad una soluzione. Le dimensioni universali e la gravità del problema non possono essere prese ad alibi per posticipare, per delegare, per nascondere la testa nella sabbia e far finta di non vedere o passare la peppa tencia a chi verrà dopo o al Governo centrale.

Non mi soffermo su dati e cifre già note ai più; tengo solo a ribadire che Varese, nel suo piccolo, ha superato nel corso dell’anno per decine di giornate il limite consentito per legge di inquinanti dell’aria; la nostra città si distingue poi per una percentuale di riciclo pari al 65 %; non ha alcun centro per il compostaggio dei rifiuti verdi; non ha mai impostato un serio e programmato piano d’interventi per le energie alternative tant’è che nessun edificio pubblico o scuola comunale vede installati sul proprio tetto pannelli solari o fotovoltaici; nessun autobus comunale utilizza energie alternative, nessuna iniziativa è presa a disincentivare il traffico privato come poche sono le misure per ridurre gli scarichi inquinanti delle caldaie negli edifici pubblici. L’amianto su tetti di molti immobili comunali (Macello Civico, Centrale del latte, scuole e palestre) non è stato ancora rimosso e per di più si trova nel pericoloso stato di avanzato sfaldamento e degrado. Insomma, l’attuale amministrazione non si è certo distinta nell’opera di portare un esemplare contributo a contenere le problematiche ambientali. Ci si limita, tutt’al più, perché lo impone una legge, ad istituire blocchi all’ingresso della città quando i limiti d’inquinamento vengono superati. Bastasse quello! L’assessore di turno rilascia di volta in volta interviste con buone intenzioni che tali rimarranno e tutto finisce lì, nella trepida attesa di un vento o di un acquazzone che risolva per un paio di settimane il fastidi. Ci si affida insomma al classico stellon e si incrociano le dita!

E per nostra fortuna Varese è città ricchissima di alberi e di spazi verdi, privati per lo più, che contribuiscono enormemente e gratuitamente a ridurre i tassi d’inquinamento e le polveri sottili nell’aria.

Ritorno sull’argomento in queste frenetiche giornate di campagna elettorale, ricche, come non mai, di promesse e del tutto; pochi però si soffermano su questo problema se non con generiche intenzioni di buona volontà ocon la proposizione di iniziative slegate e singole. Ben altri sembranoessere gli argomenti forieri di voti e consensi elettorali.

Ribadisco ancora una volta che Varese dovrebbe fare dell’ambiente il propriomantra; per ambiente non intendo solo il verde, i parchi e i giardini. Sarebbe troppo limitativo; il mio pensiero e la mia visione vanno ben oltre un’ aiuola o un nuovo parco; non possono essere compartimentati alla mia esperienza professionale.

Varese può e deve divenire l’eccellenza italiana dell’ambiente. La mia ambizione e il mio sogno sono quelli di vederla al primo posto nelle classifiche nazionali; ma – si badi bene – prima non solo nei risultati tecnici conseguiti ( qualità delle acque, dell’aria, riciclo, autosufficienza energetica, eccetera ), ma anche in vetta all’eccellenza ambientale culturale. Varese città dell’ambiente porterebbe anche un dovuto ritorno economico agli investimenti tecnici eseguiti. L’ambiente infatti non migliora solo qualità della vita,ma può riportare risorse e quattrini a chi vi ha investito. Questo è il punto chiave del mio pensiero e della mia proposta.

Con l’ambiente ci si può mangiare, eccome. Attorno vi possono ruotare l’occupazione (nuovi e tanti posti di lavoro), nuovi rami industriali ed artigianali, sicuramente d’eccellenza, nuovi corsi di studio portati avanti dalla nostra università, cultura,turismo e attività sportive.

Quindi al via subito con tavoli tecnici programmatici, via con start up innovative nel settore (molti sono i progetti europei da saper e voler cogliere), via con un assessorato dedicato che sappia raccogliere le tante eccellenze tecniche e professionali del nostro territorio scelte però per meriti e non per appartenenze, via da subito alla realizzazione di un centro di compostaggio degli scarti verdi – che a Varese sono davvero tanti e non possono essere considerati un rifiuto, bensì una ricchezza -, via alla messa in rete con altri Comuni limitrofi delle eccellenze ambientali, perché l’ambiente non ha confini comunali e l’unione, attorno al capoluogo allargato, fa la forza e di certo la differenza. Insomma via alla visione di Varese 2030 la Città in un Giardino e non più la Città Giardino. Questo è il mio augurio a chi sarà chiamato ad amministrare la nostra amata Varese.

LA CITTÀ FUTURA di Valerio Crugnola Candidato Va.2.0

 

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Strategie per la crescita culturale della città

 

(2016-2031)

 

Trascurare la cultura come è avvenuto a Varese nel venticinquennio leghista ora avviato a un corrusco tramonto, è stata una scelta insensata.

In un sistema economico dominato dalla conoscenza, la cultura come attività creativa, produttiva, divulgativa e formativa diffusa è uno dei massimi fattori strategici per lo sviluppo economico e sociale di un territorio, per la crescita personale e la qualità della vita. La cultura è fonte di ricchezza, quale che sia il senso che diamo a questa parola.

Occorre investire nella cultura in un orizzonte di medio e lungo termine: il territorio varesino quale vogliamo sia nel 2030.

Migliorare l’offerta immediata di «eventi» è importante ma non è decisivo per il futuro della città. È a strutture permanenti che dobbiamo pensare. I pochissimi progetti dell’amministrazione uscente – in particolare il Masterplan di piazza Repubblica e la destinazione di Villa Mylius – vanno radicalmente rivisti o abbandonati, e sostituiti da una visione che coniughi opportunità e bisogni.

La via maestra consiste nel promuovere e realizzare istituzioni e infrastrutture innovative, tali da cambiare il volto di Varese e del suo hinterland. Questa strategia va sostenuta con flussi mirati di investimenti, pubblici e privati, che recuperino edifici, parchi o pezzi di territorio da ridestinare alla produzione e all’intrapresa culturale.

Varese non è una città di giovani né per giovani. Investire in cultura significa investire sul loro futuro. Il Comitato Varese 2.0 crede in una città che anche grazie all’intraprendenza culturale ringiovanisce sul piano demografico, intellettuale e civile e si libera finalmente della sua mentalità provinciale.

Gli investimenti in infrastrutture sono il pilastro della Varese futura.

 

  • La Biblioteca civica nella sede di via Sacco verrà arricchita da una sezione plurilingue e nella saggistica, e avrà una nova sede multimediale nell’edificio ristrutturato nella Caserma, destinata alla consultazione di e-book, siti scientifici e universitari, consultazione di libri, riviste, bibliografie e archivi on line, nonché film, composizioni musicali e quant’altro sia reperibile in internet. In parallelo andranno accresciute e meglio servite le sale studio.
  • Con gli anni vanno recuperati a funzioni culturali il Castello di Belforte, l’ex Seminario di Masnago, i Broletto e gli antichi cortili del centro, Palazzo Estense, Villa Tamagno, il compresso dell’ex Ospedale Psichiatrico a Bizzozzero, villa Recalcati, alcuni edifici di archeologie industriale (a partire dall’ex Macello), e alcune scuole in disuso,
  • Le ville Mylius, Toeplitz e Baragiola devono divenire poli culturali di prima grandezza.
  • Va acquisito almeno un edificio di grande pregio che possa ospitare un Museo del Liberty.
  • Gli edifici dell’ex Collegio Sant’Ambrogio vanno mantenute per riportare almeno una parte delle attività universitarie, specie quelle rilevanti per tutta la città.

Lo scopo di questi recuperi è di potenziare anzitutto le opportunità formative a disposizione della città. Pensiamo a un circuito di nuova concezione di musei didattici (la storia della città dal ‘700 ai giorni nostri; la storia della produzione e dell’economia di Varese e provincia; la Storia delle Scienze e delle Tecniche con particolare attenzione agli apporti locali, e altro ancora). Pensiamo a un decentramento di eventi culturali che investa le periferie; il recupero di questi spazi andrà destinato alle attività associative e ricreative, alle espressioni culturali amatoriali e alla divulgazione popolare.

La città potrà ospitare tre nuove e originali istituzioni di alta formazione: un’Accademia del Paesaggio; un’Accademia per le espressioni artistiche e visuali contemporanee; un’Accademia delle Musiche contemporanee.

La principale risorsa della città sono i parchi, pubblici e privati. Essi andranno inclusi a pieno titolo nei percorsi culturali, didattici e turistici della città. Le architetture del Campo dei Fiori devono rientrare in questi percorsi con interventi tanto urgenti quanto opportuni. Vanno allestiti altri parchi naturali attrezzati e protetti: il PLIS della Bevera e un parco tra Calcinate del Pesce e Capolago, da imperniare se possibile su un Acquario Lacuale inedito in Italia.

Vanno valorizzate e sostenute alcune eccellenze: la Cittadella delle Scienze; il Premio Chiara; Filmstudio ’90; Esterno Notte; Convergenze; Corti/Sonici; Stagione Musicale; Musica nelle Ville; Microcosmi.

L’offerta di eccellenze potrà essere ampliata nel corso del tempo in riferimento alla storia della città, ai ruoli dell’università e all’esistenza di competenze in grado di varare nuove rassegne. L’alta divulgazione dovrà unirsi a eventi originali che distinguano la città in sede nazionale o internazionale.

Infine, il rilancio del Sacro Monte verrà anzitutto dalla sua restituzione ai valori spirituali che gli sono propri, meglio se reinterpretati alla luce delle culture contemporanee, religiose e laiche.

Project financing di Angelo Rusconi* candidato di VA2.0

 

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Project financing, in italiano finanza di progetto, indica una tecnica di finanziamento applicata tipicamente a progetti infrastrutturali che in virtù di un’elevata prevedibilità dei ricavi possono essere “bancabili” nonostante l’ampio lasso di tempo (anni) che intercorre tra la data di inizio del progetto e quella in cui esso comincia a generare flussi di cassa.

Esempi tipici di questi progetti sono strade, ferrovie, talora impianti di generazione elettrica e naturalmente… piscine e campi di tennis.

Prima di chiederci il perché di questa popolarità in politica di una parola apparentemente così tecnica, vale la pena di leggere quanto scrive l’Istituto Bruno Leoni in un recentissimo articolo (‘Infrastrutture: privatizzare i profitti ma anche le perdite’. BRE-BE-MI e le altre “grandi opere”’ di Francesco Ramella) che analizza la disastrosa (per le tasche dei contribuenti) esperienza della BRE-BE-MI. Non è questa la sede per analizzare i numeri della BRE-BE-MI e nemmeno quella per estendere l’analisi ad un’esperienza a noi molto più vicina come quella della Pedemontana, anche se la tentazione sarebbe molto forte…

Vogliamo invece concentrarci su alcuni dati che riguardano un vastissimo campione di progetti di questo genere (258, realizzati in 20 nazioni e 5 continenti). Secondo lo studio citato nell’articolo (Flyvbjerg, 2003): a) lo scostamento medio tra preventivo e consuntivo oscilla tra il 20.4% (strade) ed il 44.7% (ferrovie e metropolitane); b) un solo progetto su 10 viene completato nel rispetto del budget iniziale; c) per i progetti ferroviari l’utenza reale risulta in media pari al 39% di quella stimata in fase progettuale.

Le conclusioni sono del tutto evidenti. “La non casualità degli errori con la netta prevalenza di quelli che, nella fase di decisione, determinano un bias, ovvero un pregiudizio positivo a favore della realizzazione delle opere […]” rende “quindi ragionevole ipotizzare che non di errori si tratti ma di scelte intenzionali da parte di pianificatori, decisori e promotori volte a favorire l’approvazione ed il finanziamento delle infrastrutture”. In parole povere si mente sapendo di mentire.

E qui forse qualche indizio sulla popolarità del project financing tra la classe politica cominciamo ad averlo. Ma la vera chiave della popolarità di questa tecnica è la sua (apparente) gratuità per i bilanci pubblici. Devo costruire lo stadio? Project financing! Mi manca una tangenziale? Project financing? Devo ristrutturare piscine e campi da tennis? Project financing!

Insomma si lancia il progetto, lo si inaugura tre o quattro volte giusto per essere sicuri che gli elettori si ricordino il politico che ha ‘donato’ alla cittadinanza la preziosa opera pubblica e poi, quando ci si accorge che i ricavi non ci sono, si fanno regali agli imprenditori politicamente connessi e si alzano le tasse ed il debito pubblico.

Venendo al nostro caso specifico sembrerebbe quindi che una “cordata” (termine anche questo ormai inflazionato…) avrebbe presentato un piano che prevede un investimento di oltre 2 milioni di euro finalizzato alla ristrutturazione e alla successiva manutenzione ordinaria e straordinaria di un polo sportivo che comprende Palaghiaccio e Tennis Club Le Bettole. Tale piano, inutile dirlo, prevede che venga promosso un bando per il project financing (“Polo sportivo, c’è il progetto”).

Sorvolando sul fatto che tali progetti abbiano una strana tendenza a palesarsi nel periodo elettorale, è curioso che mentre per anni l’assegnazione della gestione degli impianti comunali sia risultata a dir poco complessa ed il precedente bando sia andato deserto, ora improvvisamente si manifesti un progetto di tale portata.

Ciò non vuol dire rifiutare a priori un progetto potenzialmente utile per la città ma significa invece affermare sin da ora che qualsiasi iniziativa che prevede l’uso di risorse o di strutture pubbliche deve essere gestita in modo pienamente trasparente. Nessun progetto rilevante può essere intrapreso senza una seria analisi costi/benefici.

In particolare nel caso di progetti finanziati con la tecnica del project financing è indispensabile definire in anticipo su chi (investitori privati, banche o comune) graveranno eventuali perdite qualora i ricavi dovessero rivelarsi inferiori alle attese (ipotesi tutt’altro che remota come evidenzia lo studio citato).

Varese 2.0 ha posto al centro della sua proposta politica l’attenzione ad una gestione oculata delle risorse pubbliche. Se il 5 giugno i varesini  concederanno fiducia al Movimento civico nemmeno un euro delle loro tasse verrà sprecato.

 

* Candidato al Consiglio Comunale per il Movimento civico #Varese 2.0, lista Zanzi

 

 

 

 

 

 

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