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I Cento Giorni: di Maniglio Botti

Il più gravoso impegno dopo la vittoria

 

Nella storia il periodo dei “cento giorni” intercorre tra l’uscita di Napoleone dall’Elba, il ritorno a Parigi e la battaglia di Waterloo. Di converso ci si può riferire all’abbandono della capitale di Luigi XVIII di Borbone, all’arrivo di Napoleone, e infine alla restaurazione della dinastia. Più o meno si va dal 20 marzo all’8 luglio del 1815.

In politica i cento giorni rappresentano, invece, i primi passi di un governo e di un’amministrazione. Sono gli atti più importanti, sotto il profilo dell’interpretazione delle cose fatte e da fare, che danno un’indicazione sulla realizzazione delle promesse annunciate durante la campagna elettorale da parte di un candidato sindaco o di un presidente. È anche e soprattutto in questa durata temporale che si può misurare la futura bontà di un governo.

Per il neo-sindaco della città di Varese, Davide Galimberti, passati i doverosi momenti di esultanza per avere sconfitto in casa la Lega, dopo ventitré anni di assoluto dominio, i cento giorni scadranno alla fine del prossimo mese di settembre. Gli si concedano pure due o tre settimane di abbuono – perché in Italia le vacanze di agosto sono sacre per tutti – ma è chiaro che nell’autunno ormai inoltrato, diciamo intorno alla metà o alla fine di ottobre, sarà opportuno cominciare a fare qualche bilancio.

L’appuntamento più importante ora, che comporterà valutazioni dalle quali in ogni caso non ci si può sottrarre,  ancora prima dell’autunno, è quello della formazione della giunta. Già da qui, se saranno scelti uomini (e donne) in gamba e potenzialmente capaci a seconda delle loro professionalità, oppure se si realizzerà una distribuzione di incarichi “alla Cencelli”, ci si potrà rendere conto della carica innovativa del prosieguo e dello spirito di cambiamento. Beninteso, si tratta ancora di mosse politiche. Sarà poi più difficile e complicato muoversi all’interno delle aeree tecniche – importantissime – e dei funzionariati, perché vale sempre il detto: i sindaci e gli assessori passano, i funzionari restano.

Da noi, in Italia, non è previsto il sistema dello spoil system,  per cui, per fare in modo che tutto cambi e niente resti come prima, ci si dovrà affidare alle  consulenze e ai consigli di uomini di macchina, che bene conoscono l’amministrazione varesina e che anche fanno parte della nuova compagine di centrosinistra che siederà a Palazzo Estense.

Già la presenza continua di Galimberti nei rioni e nelle castellanze varesine, in queste primissime fasi di partenza, allo scopo di capirne le necessità e di segnalarle sull’agenda, intanto, fa bene sperare. Il neo-sindaco sta dimostrato un’azione da motore diesel. Ma è chiaro che poi alle necessità bisogna rispondere in modo concreto.

Un’altra cosa da fare nell’immediato è prendere in mano i problemi  che, a quanto pare, hanno causato la caduta leghista. In primis la questione del parcheggio-bunker alla Prima  Cappella. Un’analisi approfondita, poi, del recupero di piazza Repubblica si rende necessaria. Sono temi su cui non si possono creare equivoci: massima chiarezza. Comportamenti che vanno bene al di là della promozione e della propaganda politica.

I primi cento giorni, e se vogliamo anche qualcosa di più, non riguardano però soltanto il nuovo sindaco e la nuova giunta, ma anche l’opposizione. Rimarremmo delusi, per esempio, se l’uomo che ha conteso a Galimberti il primo seggio del Palazzo, Paolo Orrigoni, dovesse gettare la spugna. Il suo comportamento lineare durante la campagna elettorale, le sue capacità di giovane imprenditore di successo potrebbero essere messe al servizio della città. Anche in quell’ambito di opposizione “seria, critica e costruttiva” che è  giusto e normale aspettarsi.

E rimarremmo ancora più delusi se si debba fare presto a meno di quella presenza in aula – utile e per nulla ingombrante – del capolista della Lega, nientemeno che Bobo Maroni, presidente della Regione Lombardia. Quello stesso Maroni che proprio da Palazzo Estense prese le mosse per una carriera politica d’eccellenza. Ci rendiamo conto che contemperare gli impegni del Pirellone e quelli varesini non sarà facile. Ma è stata questa una decisione che si sarebbe dovuto prendere in precedenza. Una sua eventuale defezione, a questo punto non bene motivata, spiegherebbe ancora di più un clima di sfiducia e di poca credibilità  che la Lega in parte ha pagato, ma che potrebbe pagare ancora di più.

Un’agenda urbana per la Città Giardino

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Michela Barzi

Il nuovo corso politico iniziato una settima fa impone una riflessione su come Varese possa affrontare questo cambiamento anche per quanto riguarda alcune questioni decisive che possono definire gli scenari urbani in un modo o in un altro.

In alcuni contributo pubblicati nei mesi scorsi ho evidenziato i limiti del modello disperso che ha finora caratterizzato la cosiddetta Città Giardino. Lo sviluppo a bassa densità edilizia e demografica ha provocato la fuoriuscita della città reale dai suoi confini amministrativi: oggi il comune di Varese contiene solo il 40% circa degli abitanti di quell’agglomerato urbano che si estende per 10-15 chilometri  oltre i confini amministrativi del capoluogo, dove vivono più di 200.000 persone. Come identificare dunque  la città reale e conseguentemente governarla,  tenendo conto che la vecchia dimensione municipale è scarsamente efficace quando si tratta di affrontare i complessi problemi dell’ambiente urbano? Come è possibile integrare all’interno dell’area varesina i cittadini che abitano dentro e fuori i limiti amministrativi  del capoluogo? In che modo pensare al governo di un territorio i cui confini sono ancora tutti da definire? Quale interlocuzione avviare con gli altri enti territoriali avendo ben presente l’ articolazione di questi confini? Come, in sintesi, si governa la trasformazione della città nella dimensione dell’area vasta , la quale può  ormai dirsi un fatto compiuto più che un concetto della pianificazione territoriale?

Ancor prima di rispondere alle domande qui poste è bene che Varese si chieda però se quel modello di sviluppo urbano a bassa densità edilizia e demografica  e alta pervasività  territoriale possa ancora funzionare quando si tratta di affrontare alcune sfide decisive che la complessità dell’ambiente urbano ci pone.  Una di queste è rappresentata dal  traffico veicolare che soffoca l’area varesina e che impone una riflessione sulla mobilità dei suoi abitanti a partire da una visione meno auto-centrica. D’altra parte, se la principale connotazione di Varese  è una densità di popolazione che si attesta appena sotto i 1500 abitanti per chilometro quadrato – mentre un capoluogo lombardo assai simile per caratteristiche insediative come Como supera i 2200 – non c’è da meravigliarsi che Varese sia il capoluogo lombardo con il più alto tasso di motorizzazione, dato che disperdere gli abitanti sul territorio significa generare un maggior bisogno di mobilità.

Il primo punto di un’agenda urbana per Varese è quindi quello della densità: come si definisce il rapporto ottimale tra aree costruite e libere nel tessuto urbano – che a Varese è fortemente connotato dalla presenza del verde privato – in grado di esprimere maggiore efficienza ambientale e qualità della vita per chi lo abita? Come rafforzare il senso di urbanità, fatto di quel mix di funzioni necessarie a supportare la vita dei cittadini, senza stravolgere l’identità di un luogo che, con felice espressione, Daniele Zanzi ha definito la città in un giardino. Come si rende più densa – di persone, di attività economiche, di servizi e anche di parchi e giardini pubblici – una città che si è diluita sul territorio circostante grazie al massiccio uso dell’auto privata?

Va da sé che il secondo punto di un’agenda urbana sia quello della mobilità: se si diminuisce il bisogno di spostamenti in auto, rendendo più denso e ricco di funzioni il tessuto urbano, bisogna mettere in condizione i cittadini di spostarsi agevolmente a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici per andare al lavoro, a scuola, a fare le compere e ad usufruire dei differenti servizi . In una città che ha scelto di mantenere solo il controllo dei parcheggi e ha dismesso quello del trasporto pubblico se si vuole migliorarne la vivibilità diventa urgente ribaltare questa visione della mobilità basata sull’auto privata.

Il terzo punto riguarda, conseguentemente, il modo in cui alcuni nodi pluridecennali verranno sciolti: come verrà affrontata la questione dell’unificazione delle stazioni, cioè del nuovo hub del trasporto pubblico locale e di scambio modale della mobilità degli abitanti dell’area varesina? Una soluzione che sappia tenere nel giusto conto il fatto che l’area varesina è parte della regione metropolitana milanese è senza dubbio auspicata dai tantissimi varesini (in senso lato) che ogni giorno prendono un mezzo pubblico per svolgere la loro attività lavorativa o di studio. Lo stesso dicasi per la sutura di quella ferita al corpo della città rappresentata dal raccordo autostradale: nessuna politica di mobilità urbana può prescindere dall’affrontare il nodo di come si può evitare che il traffico veicolare si riversi direttamente dall’autostrada dei Laghi nel centro cittadino. A questi due punti si collega la questione di un nuovo assetto di piazza della Repubblica, il cui posteggio multipiano interrato è stato concepito come il contenitore dei flussi di traffico in arrivo dal raccordo autostradale e dal sistema viario dell’area urbana. Ancor prima della questione della ex caserma Garibaldi e del teatro – e degli scenari volumetrici che si produrranno sul sedime del progetto di riqualificazione della piazza – sarebbe bene capire come ribaltare l’identità di quel luogo che più che una piazza è la copertura di un posteggio con annesso centro commerciale.

L’energia che ha permesso il cambiamento politico del governo della città, fatta di idee, riflessioni, proposte e  soprattutto opposizione ad alcune scelte della precedente amministrazione, deve essere usata per definire una visione di Varese nei prossimi 5-10 anni. Sembra paradossale, ma rispetto la piatta gestione dell’esistente alla quale la città è stata sottoposta nei decenni passati si tratta di una rivoluzione.

 VARESE IN FERROVIA SVOLTA EPOCALE: DI EUGENIO PERSENICO *

 

Non capita di frequente che una formazione politico-amministrativa si interessi di problemi che vanno fuori dai rigidi confini della propria competenza giuridica. Questa volta, in questa tornata elettorale, càpita: Varese 2.0 pone attenzione al nuovo raccordo ferroviario  che in modo improprio e riduttivo è stato definito Arcisate-Stabio, attualmente ancora in costruzione. In effetti, se anche non si volesse al momento affrontarne il ruolo internazionale largo, europeo, tuttavia è evidente la sua importanza di fondo per il prossimo sviluppo dell’area varesina, di cui la città capoluogo dovrebbe farsi promotrice, almeno a livello territoriale sub-regionale. Importanza per la verità misconosciuta da Varese in questi ultimi dieci  anni,  fin  dalle proposte progettuali e non scalfita neppure dall’inizio dei lavori.  Eppure…

Eppure, quando fra un anno- un anno e mezzo, la nuova ferrovia sarà in esercizio, Varese non sarà più una stazione (praticamente) di testa, terminale di una radiale in partenza da Milano, ma sarà trasformata in stazione passante, collegata con continuità e agevolmente con centri di assoluto interesse quali Como e Lugano. Al di là della questione  tecnico-ferroviaria è evidente come questo fatto possa cambiare l’attuale ruolo di Varese sul territorio, non più solo capoluogo di riferimento dell’alto varesotto ma polo attivo all’interno di scambi di varia natura – culturali, sociali, economici e altro  – in un contesto di area vasta molto qualificata, sub regionale ed internazionale.

Se è vero che da Varese l’accesso a Como e Lugano con mezzo pubblico in sede propria (quindi affidabile) si è stimato di durata inferiore alla mezz’ora, è altrettanto vero come valga il reciproco: da Como e Lugano potrà convenire spostarsi con una sostenuta frequenza verso Varese, a certe condizioni.  Quali? Che Varese, per esempio, riesca a ritagliarsi e costruirsi una immagine di prima fila – di livello regionale o pluriregionale – in un settore originale, ancora poco esplorato e poco diffuso. E che poi metta in calendario i conseguenti eventi locali, ad integrazione e non in concorrenza con le cittadine sunnominate,  nei periodi in cui la città può offrire il suo aspetto  più attraente. Scelte delicate e spinose, che impongono una ricognizione generale delle attività in essere e una analisi delle possibili vocazioni varesine, e che richiedono oltretutto  una forte dose di coraggio nell’indicare una direzione di marcia. (Potrebbe essere la musica classica contemporanea, che pure a Milano è trascurata?).   C’è da dire che se anche la ferrovia è ancora di là da venire, tuttavia già se ne  stanno studiando  gli orari di funzionamento, un argomento non secondario rispetto al tipo di problema sollevato ma che non è mai risultato all’attenzione di chi di dovere.

Il contesto delineato coinvolge infine direttamente il progetto della unificazione delle due stazioni ferroviarie di Varese, Nord e Stato, progetto molto discusso e minimamente avviato. Logico che si debba proporre fra le due un percorso pedonale dedicato ai viaggiatori, ma lo scopo primario dell’intervento dovrebbe consistere nel risolvere l’attuale non-luogo di quest’area trasformandolo in un ambiente in cui sia piacevole spostarsi, fermarsi,  conversare, leggere, studiare, informarsi, ecc., un quartiere insomma, presidiato da servizi pubblici confortevoli e di buona qualità. Tutto il contrario di quanto ci aspetta oggi. Non sarebbe proprio il caso di attrarre popolazioni dall’esterno per offrire poi uno spettacolo penoso.

* Architetto, assessore alla grandi opere del Comune di Induno Olona nella passata legislatura

Ci rivolgiamo ai Varesini liberi e responsabili Rosanna Vitali detta Geny

Il prossimo 5 giugno sarà “responsabilità” degli elettori delegare all’Amministrazione persone capaci, persone semplicemente di buon senso e concrete assolutamente capaci
1) di una visione chiara della deteriorata realtà locale e delle problematiche connesse
2) degli “obiettivi” da raggiungere
3) di darsi strumenti e criteri per conseguire eque soluzioni.
Varese è stata troppo sfruttata, senza risparmio per l’iniziativa e l’ingegno dei suoi cittadini, per la ricchezza collettiva da questi prodotta, per lo straordinario capitale avuto in dote dalla natura. La Città è inoltre stata gestita senza alcuna considerazione per il patrimonio storico-artistico ereditato da chi la bellezza del suo territorio aveva coltivato prima di noi. Chi nega questo deterioramento non ha negli ultimi decenni focalizzato il proprio sguardo sulle carenze che determinava e che i varesini hanno subito, l’attenzione rivolta invece verso interessi lontani da quelli dell’intera comunità.
Ma abbiamo finalmente un’alternativa.
Noi non siamo stati a guardare. Da tempo il Movimento Civico #VARESE2.0 denuncia e contrasta con successo macro-episodi di mala amministrazione: tutti “affari milionari”. Lo ha fatto e lo fa, svincolato da orientamenti politici che nella maggior parte delle contingenze ignorano o trascurano le peculiarità delle realtà territoriali. Libertà è agire in modo incondizionato, privilegio che il nostro movimento si conquista giorno dopo giorno. Per queste elezioni ci siamo autofinanziati, e anche questo ci rende liberi. Agiamo in modo INDIPENDENTE e soprattutto CONCRETO.
Queste elezioni amministrative varesine si legano come non mai a valori fondamentali in una società democratica: la libertà e l’indissolubilmente complementare “responsabilità”.
Ci rivolgiamo per questo ai Varesini liberi e responsabili, convinti che siano una silenziosa maggioranza, e chiediamo loro supporto e collaborazione prima e dopo il 5 giugno.

LA SFIDA DELL’INTEGRAZIONE di Olga Mweya candidata Va2.0

 

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La popolazione straniera è una grande risorsa per Varese. Si tratta del 12,5% della popolazione residente: 10.070 persone su 80.600. I paesi di provenienza sono 120. I livelli di istruzione e occupazione sono medio-alti. In maggioranza si tratta di giovani, spesso nati in Italia e italiani per cultura e stili di vita. A queste cifre vanno aggiunte le persone ormai italiane a tutti gli effetti, spesso pienamente integrate.vA Varese e nel suo hinterland non vi sono tensioni tra autoctoni e migranti, tra italiani e stranieri.

Due altri dati devono avere il giusto peso. 1) La presenza temporanea di profughi, rifugiati e richiedenti asilo a Varese e dintorni non supera le 500 unità, e non è avvertita dalla popolazione residente. 2) In gran parte la popolazione straniera è cristiana o non credente. Meno di un quarto è costituito da quegli islamici che una quota della popolazione autoctona avverte come minacciosi.

Come ovunque, vi sono sacche di emarginazione, non però diverse da quelle che colpiscono la popolazione italiana. L’esposizione alla marginalità e alla povertà non ha nazione. È il degrado prodotto da chi ha amministrato la città ad attrarre fenomeni di devianza; non sono i fenomeni di devianza a provocare il degrado.

 

Il primo obiettivo è di offrire alla popolazione una conoscenza razionale, dati alla mano, delle condizioni della popolazione straniera residente, in modo da correggere distorte percezioni soggettive.

Altri obiettivi riguardano il miglioramento delle condizioni di integrazione. Occorre:

  • ridurre la separazione tra i vari gruppi di provenienza degli stranieri e i nativi italiani. Vivere fianco a fianco e facilitare le occasioni di incontro migliorano la conoscenza reciproca.
  • ridurre i livelli di marginalità con interventi mirati, soprattutto nell’accesso ai servizi sociali primari e nei loro costi;
  • prevenire potenziali conflitti con comportamenti politici oculati.

La lingua madre è la sola identità forte che caratterizza il mondo contemporaneo. I migranti possono averne più di una. Migliore sarà il possesso della lingua italiana, e migliori saranno il senso di appartenenza a un medesimo gruppo culturale e i livelli di convivenza. Nello stesso tempo è bene che le seconde generazioni conoscano la lingua dei loro genitori. È possibile fare qualcosa in ambedue le direzioni.

Di fatto Varese è una città cosmopolita, ma ancora soffocata da una mentalità provinciale. Così le sue potenzialità vengono sprecate. Bisogna lavorare su ambedue le mentalità: quella dei migranti (soprattutto nelle discriminazioni di genere), e quella degli autoctoni (soprattutto nei pregiudizi xenofobi).

Chiediamo agli elettori di compiere scelte meditate, e non in preda alla paura e alla demagogia.

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